28/11/14

Non accontentiamoci di una scuola “mediamente buona” (bozza)


Giorno 26 novembre sono stato invitato a prendere parte ad una discussione pubblica su "La scuola che vogliamo" presso la sala Ajace di Udine. L'incontro, organizzato dai militanti locali della Lista Altraeuropa con Tsipras, ha avuto sua conclusione e culmine con la presentazione, a cura del prof. Salmaso, della LIP Legge di iniziativa popolare per la scuola della Repubblica (adotta.lipscuola.it), laica pluralista e inclusiva. La mia discussione è riportata interamente qui di seguito.



Il mio intervento prende le mosse dalla seguente massima di Nanni Moretti: «Chi parla male, pensa male e vive male», che io trasformo, ai fini del discorso, nelle proposizioni dal contenuto più restrittivo «Chi parla utilizzando termini aziendalistici, pensa in termini aziendalistici e infine opera come un’azienda o un’impresa».
La massima morettina, così trasformata, descrive alcune dinamiche in atto nella nostra scuola, da bloccare con determinazione prima che divengano dominanti.

Iniziamo dal linguaggio: perché la scuola statale parla alle volte male? Chi a vario titolo vi opera potrà testimoniare che negli ultimi anni i documenti ufficiali, ma anche gli incontri formali e, ahinoi, informali tra docenti, ridondano di termini provenienti dal linguaggio economico-aziendalista. Senza pretesa di esaustività, provo ad elencarne alcuni: “crediti formativi”, “debiti formativi”, “bilancio sociale”, “capitale umano”, “capitale sociale”, addirittura “brainstorming” e così via.


Anche il documento governativo La Buona Scuola, che mira a dare il via alle danze riformatrici nella scuola italiana, riporta molti tra questi termini. Se ne trova però uno mai utilizzato prima per la scuola, perché usato solo in altri contesti: “crowfunding”. Lo leggiamo a pagina a pagina 125 del documento nel capitolo dedicato alle risorse richieste ai soggetti privati per sostenere la scuola statale. 
"Crowfunding" è termine inglese, moderno, elegante, forse appagante che corrisponde alla molto più modesta parola italiana “colletta”. Quest'ultima è però caduta in disuso nel documento renziano perché è una parola da poveracci e quindi non alla moda.


Dicevamo che chi parla male prima o poi inizia a pensare e ad operare male, o almeno ci prova; possiamo ben dimostrare che anche le abusate parole di derivazione economico-aziendalista presenti nel documento governativo su La Buona Scuola nascondono idee altrettanto malsane, e sono un presagio di nefasti cambiamenti.


Per chiarire il mio pensiero prendo in considerazione e analizzo con voi la controversa questione, presente ne La Buona Scuola, sulla valorizzazione o, che è la stessa cosa, “monetizzazione” del merito dei docenti nella scuola pubblica.
Il sistema è abbastanza discutibile ed al momento è discusso e criticato sulla stampa e sul Web, in particolare per via della competizione che porterà tra i docenti per accaparrare risorse scarse, con derive potenzialmente patologiche per la didattica e l’educazione dei discenti. Si rimarcano altri problemi, come la controversa questione della valutazione del merito nelle professioni intellettuali, del docente in primis, e che ha in ogni caso ripercussioni sul processo di trasferimento delle conoscenze agli allievi. (Un tipico caso esemplificativo riguarda le oramai usuali attività in classe di “teaching to test”, ovvero insegnare a superare i test, dannose per la didattica e portate avanti nelle classi dai docenti più competitivi che vogliono primeggiare nei test Invalsi).

Rimandando ad altro dibattito tali controversie, ora mi soffermerò soltanto sul meccanismo virtuoso, almeno secondo i sostenitori de La Buona Scuola, che dall’incentivo al merito porta ad una equa distribuzione di bravi docenti tra tutte le scuole, con effetti che dovrebbero essere benefici su tutto il sistema scolastico.


In breve, nel documento governativo è prevista l’abolizione degli scatti di anzianità per il lavoro docente. Come in un “gioco a somma 0”, le risorse liberate da questi tagli saranno redistribuite agli insegnanti in base al merito. (Ma la somma 0 lo è fino ad un certo punto: il documento governativo infatti precisa che il triennio di passaggio da un sistema all’altro non vedrà il pagamento, almeno per molti docenti, né degli scatti di anzianità né al merito).
Non tutti i docenti saranno meritevoli, ma solo i due terzi (il 66%) per ogni Istituto. Il premio al merito corrisponde a circa 60 euro a triennio.
Vediamo dunque come il merito è trasformato dagli esperti de La Buona Scuola in panacea per quasi tutti i mali. Cito testualmente.


«I docenti mediamente bravi … per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi spostare in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è relativamente bassa e quindi verso scuole dove la qualità dell’insegnamento è mediamente meno buona, aiutandole così ad invertire la tendenza. …. è chiaro che, incoraggiando la mobilità, il meccanismo nel suo complesso consentirà di ridurre le disparità tra scuole, e aumentare la coesione sociale. È un sistema basato sul merito dei docenti che riduce le disparità tra le scuole e le incoraggia e aiuta tutte a migliorare».

Fa un poco ridere vedere indicati come “mediamente bravi” i docenti non appartenenti al gruppo dei migliori due terzi, con un lessico da autori di manuali per vendere aspirapolvere o enciclopedie porta a porta. A me però interessa il “pensiero economico” nascosto dietro queste parole. 


Il meccanismo sopra citato, apparentemente neutrale, semplice ed elegante, ci appare come dominato da una “mano invisibile”, che tutto sistema in meglio. Ma le parole che lo descrivono incorporano principi dell’economia neoclassica (quella che – per intenderci - annovera tra i suoi cultori i Monti e i Draghi).


Come ad esempio il principio dell’individualismo metodologico, il quale stabilisce, con stilizzazioni estreme, che l’evoluzione di un sistema può essere spiegato sulla base dell’osservazione dei comportamenti individuali, in questo caso dei docenti. O come il cosiddetto “principio edonistico”, il quale prevede che ogni operatore nel “mercato” tenta di massimizzare le proprie utilità. 
Secondo tale ultimo principio, dunque, un docente “mediamente bravo” considera secondario lavorare in un ambiente magari accogliente, con colleghi che conosce bene oppure essere in buoni e collaborativi rapporti con le famiglie e il dirigente ecc. Esso è unicamente interessato a massimizzare il proprio stipendio, di circa 60 euro a triennio. E per questo motivo vorrà probabilmente cambiare scuola, scegliendone una di livello molto basso per tentare di essere tra i docenti più bravi.

Anche altri principi della scienza economica sono stati incorporati e nascosti nel meccanismo sopra descritto: si assume ad esempio che ogni individuo sia “illimitatamente razionale” e possegga conoscenza perfetta delle condizioni del “mercato” (quindi tutti i docenti conoscono il livello d’insegnamento di tutte le scuole, e in base a queste conoscenze si comporteranno di conseguenza decidendo se cambiare sede di lavoro o meno).







Dicevamo che chi parla male, pensa male e prima o poi inizia ad operare male. Le parole che utilizziamo, o che sono utilizzate dalle organizzazioni dove operiamo, non sono neutrali, ma nascondono principi che spesso non riusciamo nemmeno a individuare e che modificano la nostra visione del mondo, il nostro modo di operare e in fondo anche  la nostra vita. 
Ad esempio, se nel linguaggio di chi opera nella scuola gli studenti divengono “capitale umano” e l’istruzione quindi diviene “investimento in capitale umano”, probabilmente ci avviamo ad adottare un logica utilitaristica per la quale la cultura non ha più valore in sé, ma ha importanza solo se offre opportunità economiche (dà da mangiare).

Come giudicare dunque complessivamente il documento governativo La Buona Scuola? Per rispondere a tale quesito non utilizzerò il linguaggio dei suoi autori: non dirò che La Buona Scuola renziana è in realtà meno che “mediamente buona”. Mi rifiuto di utilizzare le parole del marketing mescolate al buonismo imperante: dirò molto più semplicemente che La Buona Scuola renziana è una scuola schifosa.