25/11/13

Passioni collettive


Scritto pubblicato sul n. 335 del gennaio 2014 di Sicilia Libertaria 


“Quello che mi fa incazzare di più è che una faccia di minkia cosi nella vita reale lo trovi in un autogrill a lavare i cessi”

(R.D., commento a un post del blog di Grillo riguardante la pensione percepita da Giuliano Amato)


Simone Weil è morta in un sanatorio britannico nel 1943 che aveva 34 anni. Questa donna, nel breve corso della sua vita, ha fatto quel che altri, se fosse possibile, farebbero a rate in 4 o 5 generazioni: dopo essersi laureata in filosofia fu docente in un liceo francese, poi manovale, militante politica e infine contadina; fu vicina all’ideale eterodosso marxista e a quello anarchico, senza abbracciare completamente né l’uno né l’altro; fu volontaria in Spagna tra i Repubblicani durante la guerra civile del 1936 e per gran parte della sua vita fu un’attiva antifascista di fede cristiana.
Simone Weil

Fu anche scrittrice e saggista e i suoi volumi ogni tanto tornano ad essere disposti ben in vista negli scaffali di alcune librerie. Recentemente è successo con un libro di nuova edizione contenente il saggio dal titolo “Nota sulla soppressione dei partiti politici”.

Weil, parlando di democrazia, riporta in tale scritto il seguente pensiero: la verità è una, la giustizia è una, ma gli errori e le ingiustizia variano all’infinito. Allo stesso modo, gli uomini convergono verso un unico concetto di giusto e vero, mentre i personali impulsi negativi (il delitto, l’errore, la menzogna …), che Weil chiama complessivamente passioni, li fanno continuamente divergere.

La democrazia è valida se diviene una forza di unione del popolo per far emergere  tra di noi la verità e la giustizia e, nel contempo, a limitare ed isolare le passioni, i nostri errori e gli impulsi negativi. Come avviene per una massa d’acqua che, se pur sia composta da milioni di particelle che si urtano senza posa, è perfettamente statica ed equilibrata, accade anche che una volontà comune a tutto un popolo si conformi alla giustizia per mezzo della “reciproca neutralizzazione e compensazione” dei singoli impulsi cattivi. Qualora individui passionali “si compongano allo stesso modo dell’acqua in un popolo veritiero e giusto, allora è bene che il popolo sia sovrano”, e la democrazia diviene un valore. Questo successe secondo Weil in Francia nel 1789, ove i rappresentanti del popolo “per qualche tempo … furono veramente semplici organi di espressione al servizio del pensiero pubblico”. 

Ma cosa succede se una passione collettiva si impadronisce di un intero popolo o di parte di esso nel momento in cui “prende coscienza di una delle sue volontà e le esprime”? La democrazia in questo caso, secondo Simone Weil, fallisce e gli impulsi negativi, ben lungi dal neutralizzarsi, “si elevano reciprocamente alla millesima potenza”. Per questo motivo una volontà ingiusta a tutta la nazione non è affatto superiore alla volontà ingiusta di un solo uomo: se anche Hitler avesse avuto un pieno appoggio popolare, se avesse operato seguendo una via legale, "democratica" e parlamentare, i crimini dei nazisti non avrebbero avuto in nessun caso un “atomo di legittimità” più di quanto ne abbiano avuto.

Le passioni collettive, secondo l’accezione assegnata da Simone Weil, sono dunque dannose per la verità e la giustizia di un popolo. Un partito politico non dovrà mai far leva su alcuna passione per affermare e propagare le proprie idee. Ciò secondo Weil è però impensabile: la creazione di passioni collettive è un carattere congenito ad ogni partito.

Alla luce di ciò che scrive Simone Weil, cosa possiamo dire dell’Italia dell’ultimo quarto di secolo? Quali passioni collettive sono state create, imposte o cavalcate dai partiti politici per raggiungere il potere? A nostro parere i più perfidi tra i dirigenti di tali partiti han fatto leva su passioni “securitarie”: la difesa dell’onesto cittadino, della sua famiglia e infine della sua patria (o “macro-regione”) dall’invasore, dal clandestino, dallo zingaro, dall’omosessuale e così via. In tutto ciò la televisione ha avuto una grande funzione di cassa da risonanza; “maledirai la Fininvest” cantavano un tempo i CCCP e noi la malediciamo da sempre e anche in questo momento.

I tempi cambiano, i nodi restano al pettine e le menzogne vengono svelate. Le passioni collettive “securitarie” imposte dalle destre di questo Paese non hanno più lo stesso effetto e la stessa presa dei tempi addietro. Il processo di decadenza delle passioni destrorse è a nostro parere iniziato a Milano qualche anno fa durante l’ultima campagna elettorale per l’elezione del sindaco. Allora successe che i soliti slogan della destra adattati alla città (“Diventeremo la Stalingrado d’Italia”; “Saremo la zingaropoli d’Europa”; “Pisapia è un comunista fiancheggiatore di terroristi” e così via), anziché produrre consenso, furono idealmente ricoperti dalle risate dei cittadini milanesi.

Oggi, invece, su quali nuove passioni puntano i nuovi partiti e i movimenti “di rottura”? A noi pare che l’attacco senza se e senza ma alla “casta politica” (con slogan del tipo “sono tutti uguali”, “non siamo di sinistra né di destra”, “tutti i politici sono ladri” ecc.) sia il consueto cavalcare l’onda di una nuova passione collettiva.
Basti leggere i commenti che migliaia di utenti inseriscono nel blog e nei profili di social network gestiti da Beppe Grillo per notare come emergano spesso gli impulsi peggiori di molte persone sotto la forma dell’imbarbarimento del linguaggio e quindi del pensiero. Non siamo moralisti, non ci preoccupiamo delle ingiurie e delle volgarità, crediamo però che tutto questo non  porterà mai un vero e profondo cambiamento sociale.


Probabilmente, cavalcando questi nuovi impulsi collettivi, i movimenti “a cinque stelle” riusciranno a raggiungere parzialmente qualcuno dei loro obiettivi, come ridurre un poco i grandi sperperi pubblici o imporre maggiore equità … Tutto questo è però ben lungi dall’idea di trasformare la società conformandola agli ideali di verità e giustizia.