«L’ordine, oggigiorno, è per lo più dove non c’è niente. È un fenomeno di Mancanza». Bertolt Brecht
L’ordine è dove non c’è niente. Ho in mente questa frase quando entro nel luogo d’ordine per definizione. Mi
chiedo però come si manifesti tra queste mura il fenomeno di mancanza. Nel
frattempo ho già superato i primi necessari controlli all’ingresso.
Anche oggi, 20 giugno 2012, mi trovo all’interno della Casa Circondariale di…
Un agente mi accompagna alla sala d’attesa. Qui
non ci sono finestre e sento un odore acre di vernice fresca. Prendo posto su
una delle quattro sedie sistemate attorno a un tavolo finché non torni qualcuno
a chiamarmi. Dopo qualche minuto arriva un nuovo agente, mi dice: «Professore,
possiamo andare». Percorriamo un corridoio che ha termine con una porta di
ferro. Qui una guardia controlla nuovamente che io sia in regola, la apre e mi
lascia passare. Sorride, mi segue con lo sguardo.
Dietro la porta, ora chiusa alle mie spalle,
vedo detenuti in fila aspettare il permesso per oltrepassarla. Vanno in
infermeria, a lavorare o a colloquio con volontari, avvocati, educatori. Mi
guardano mentre passo loro accanto, qualcuno accenna ad un saluto.
Procedendo vedo sbarre, porte, celle, muri e ne
immagino altri ad ulteriori livelli di profondità. Il corridoio è freddo, uno
scarafaggio passeggia ozioso. Raggiungo una delle tre stanze della scuola del
carcere, se non avesse le sbarre alle finestre sembrerebbe la peggiore aula di
una scuola malmessa. Là trovo P., il più anziano tra i miei studenti. É
arrivato prima degli altri perché ha il compito di tenere in ordine la scuola.
Guarda pensoso attraverso la finestra sbarrata. Si volta e mi saluta, poi
riprende a fissare fuori. «Ogni giorno, per mesi o anni, – mi dice, – vediamo
solo muri e porte a un palmo dal naso. Si perde un po’ alla volta il senso
della profondità delle cose e, quando un giorno si esce, ci si sente come
disorientati, perduti.
Da questa finestra invece, – continua a dirmi,
– si vede più lontano e io, quando posso, osservo le strade, quei palazzi, le
case laggiù o quel ponte per non perdere l’abitudine alla profondità che, fuori
dal carcere, ci circonda».
P. prende da una tasca la busta del tabacco
e una cartina per rullare una sigaretta, la fumerà fuori dall’aula. In carcere
mancano tante cose, ma il fumo – anche dentro la scuola, – non è bandito. Sento arrivare gli altri studenti. Dopo i saluti raggiungo la cattedra. Dallo
zaino estraggo registro, portapenne, libri e tutto l’occorrente per la lezione.
Poggio tutto alla rinfusa sulla scrivania: l’ordine oggi in questa scuola non ha diritto d'asilo.