22/02/13

Lavorare senza recinzioni

Scritto pubblicato sul catalogo della mostra d'arte contemporanea LavoroWorkVore.


In seno alle economie medievali, prevalentemente agricole, in che modo da un certo punto in poi nasca il lavoro operaio è un tema analizzato in maniera approfondita ne Il Capitale. Secondo Marx, il processo generatore aveva la sua essenza nella separazione dei produttori dai mezzi di produzione e, nell’Inghilterra del Quattordicesimo secolo, tale fenomeno riguardò l’espulsione dei produttori rurali dai campi aperti, loro fonte primaria di produzione e sussistenza. Vediamo, se pur sommariamente, le principali fasi di tale processo. Nell’Inghilterra feudale, le comunità contadine avevano accesso ai campi aperti, veri e propri commons o beni comuni. Come scrive Shiva, i contadini utilizzavano queste terre per far pascolare il bestiame e ne ricavavano il necessario per costruire le abitazioni, per scaldarsi e per ottenere forme di nutrimento: selvaggina, frutti selvatici, erbe spontanee, noci ecc. Dal Quattordicesimo secolo l’aristocrazia terriera iniziò a recintare i campi comuni e ad appropriarsene; in tal modo, riuscì a concentrare e ingrandire gli allevamenti ovini, a produrre e vendere più lana, ad accumulare altri capitali, ad acquistare telai e ad impiegare operai, a produrre tessuti per la vendita, ad accumulare altro capitale, ad acquistare ulteriori telai e così via. I contadini, esclusi dalla terra, gradualmente entrarono – come si dice oggi – nel “mercato del lavoro” divenendo operai nelle primordiali manifatture. Dalla dissoluzione della società feudale si liberarono dunque gli elementi della società industriale, caratterizzata dal dominio economico del settore secondario e dalla centralità anche quantitativa del lavoro operaio.

Pecorelle in libertà
Come è naturale, col succedersi dei secoli la società è mutata e, in essa, sono cambiate le forme del lavoro. Dalla metà del Ventesimo secolo, infatti, l’occupazione generata dal settore dei servizi ha assunto maggiore importanza a discapito del lavoro operaio. Come scrive De Masi, nel 1870 su 13 milioni di occupati negli Stati Uniti, solo 3 milioni erano gli addetti alla produzione di servizi (quindi meno del 25%); nel 1940, su 50 milioni di occupati, più di 24 milioni (quindi quasi il 50%) lavoravano invece in quest’ultimo settore. Ancor di più negli ultimi decenni ha assunto rilevanza il lavoro immateriale e altamente qualificato di tecnici, ricercatori, programmatori, creativi che operano nei settori emergenti delle biotecnologie innovative, delle telecomunicazioni, dell’informatica e della multimedialità. Nella società attuale, denominata postindustriale, il processo di recinzione di beni comuni non si è arrestato, si è anzi rinnovato pur restando fedele alla sua natura predatoria. I brevetti del codice genetico di esseri viventi sono, ad esempio, recinti moderni; come lo sono anche le accumulazioni a fini pubblicitari dei dati personali di milioni di utenti di internet; è una recinzione il “copyright” sulle conoscenze mediche indigene e il loro sfruttamento commerciale. Infine, creano recinti i processi di privatizzazione dei beni comuni come acqua, trasporti, fonti di energia e di sviluppo … Qual è il costo sociale di tutto ciò? Come ai tempi delle espropriazioni dei campi aperti, la trasformazione del patrimonio comune in proprietà privata sottrae dignità e benessere a vasti settori della società. Scrive Shiva che i semi, le medicine o l’acqua una volta mercificati devono essere acquistati a caro prezzo dai detentori dei brevetti o dai possessori delle risorse, così i profitti sono privatizzati e la collettività impoverita.

I processi di recinzione non sono però irreversibili, è ancora possibile abbattere i recinti e tutelare, produrre o rinnovare i beni comuni. Alcuni fatti e tendenze in atto permettono di crederlo: i contadini che recuperano e condividono le antiche varietà di semi, le comunità di programmatori che creano software aperti e gratuiti, gli utenti che in rete scrivono un’immensa enciclopedia collaborativa e i tanti esempi di autogestione in campo scientifico, culturale e delle risorse ambientali sono le prove a favore di tale ultima tesi.